di Sebastiano Bazzichetto
[articolo tratto da The Yellow Gloves]
TORONTO – Per parlare dello iato tra verità storica, licenza artistica e finzione letteraria non basterebbe un’intera biblioteca e fare il nome di Omero (o i molti ‘Omeri’) quale padre del primo atto di rifacimento poetico di eventi reali con le sue “Iliade” ed “Odissea” è dato ormai scontato. Senza dubbio, il Romanticismo europeo fu il periodo che più di altri seppe ed amò infiorettare, abbellire, riplasmare la storia ed i suoi personaggi per creare nuove fiabe senza tempo o tragedie ai confini dell’umano, per raggiungere l’apice del gusto per il rimpasto – in ambito architettonico – con i vari neo-stili (il neo-barocco, il neo-gotico, il neo-rinascimentale e così via), dando vita agli eclettismi che ancora oggi si possono ammirare nelle residenze di Ludwig II di Baviera e che tanto influenzarono l’immaginario di Walt Disney.
Dal canto suo, Gaetano Donizetti non fu da meno nell’adattare per la scena lirica svariati momenti tratti dalle fila della storia con la ‘s’ maiuscola. Il compositore, durante la sua travagliata vicenda personale che lo vide presto vedovo e privato della figliolanza, fu a dir poco prolifico: tra i suoi innumerevoli successi e capolavori basti ricordare “Lucrezia Borgia”, “Don Pasquale”, “Lucia di Lammermoor” e “L’elisir d’amore”. E proprio nel segno del musicista bergamasco la Canadian Opera Company ha deciso di aprire e chiudere la sua stagione. Dopo le melodie di Nemorino e Adina, sabato scorso infatti il sipario si è alzato sulla “Anna Bolena” donizettiana per concludere il cartellone di quest’anno, l’opera che debuttò nel dicembre del 1830 al Teatro Carcano di Milano, in lizza musicale con un altro campione del bel canto italiano, Bellini e la sua “Sonnambula”. La storia di Anna Bolena, seconda moglie di Enrico VIII e regina consorte sul trono d’Inghilterra, è quella di una donna prima corteggiata ed amata che si vede finire sul patibolo per non essere in grado di dare alla luce il tanto atteso erede maschio. Insieme a Maria Stuarda (nell’opera omonima) ed Elisabetta I (in “Roberto Devereux”), nella sua cosiddetta trilogia delle regine Tudor, Donizetti fece della Bolena un’eroina romantica vittima di un destino avverso, ingiustamente condannata a morte a causa degli insaziabili appetiti di un marito fedifrago.
Divisa in due atti, su libretto di Felice Romani, la trama dell’opera è agilmente detta: sposato con Anna Bolena, re Enrico si innamora presto della damigella Giovanna Seymour.
Convinta dal fratello, Anna incontra Riccardo Percy, suo antico amore, per rasserenarlo ed impedirgli di commettere qualche atto di pazzia.
Consapevole del sentimento che lega Anna a Percy, Enrico ne approfitta per accusare la moglie di tradimento, ripudiarla e poter convolare a nozze con la bella Giovanna. Nel finto complotto viene coinvolto anche un giovane paggio canterino, Smeton, segretamente innamorato di Anna. Priva di senno, in preda al delirio, condannata a morte insieme a Smeton, al fratello e a Percy (accusati di aver preso parte al tradimento), Anna Bolena attende la sua ultima ora imprigionata nella torre di Londra.
Per la regia di Stephen Lawless, nella produzione in scena a Toronto, tutto si svolge all’interno delle lignee e spoglie pareti dell’ottagono del Globe Theatre dai cui spalti troneggiano cortigiani e damigelle, consiglieri e soldati.
I costumi di Ingeborg Bernerth riproducono fedelmente le fogge e i colori degli abiti del periodo Tudor, riproponendo – nel secondo atto – in stoffa, pelliccia e zimarra il famoso ritratto di Enrico VIII per il pennello di Hans Holbein il Giovane.
Alla prima, nella serata di sabato 28 aprile, le prestazioni vocali sono state piuttosto buone: interessante la rotonda e calda interpretazione del soprano Keri Alkema (Giovanna Seymour); ottima quella di Bruce Sledge (Lord Riccardo Percy); altrettanto convincente la presenza del fascinoso basso Christian Van Horn (re Enrico). Nei panni della protagonista principale, Sondra Radvanovsky, osannata regina del bel canto internazionale, ha dato prova di buona presenza drammatica e notevoli acuti contraddistinti dall’inconfondibile timbro metallico ed esplosivo.
Magnifico come sempre l’insieme del coro che, in questo frangente, assiste impotente alla tragedia dell’afflitta regina. Un’aggiunta al libretto originale in questa produzione è la presenza di una Elisabetta fanciulla, figlia di letto di Anna ed Enrico. Solo Jane Seymour sarebbe riuscita a dare alla luce il tanto desiderato erede maschio che, con il nome di Edoardo VI, sarebbe però morto alla tenera età di sedici anni, senza garantire la linea dinastica maschile.
La bacchetta di Corrado Rovaris ha saputo dirigere egregiamente l’orchestra della COC con un piglio incalzante anche nei momenti più drammatici della partitura. A fine spettacolo, uno scroscio fragoroso di applausi è piovuto sul teatro per la Radvanovsky e l’intero cast.
Ancora una volta, se è vero che la musica è uno dei linguaggi universali, è altrettanto vero che tanta della più bella musica parla, o meglio, canta nella lingua del paese “ove ‘l sì suona”.