di Rossana Valenti
[tratto e adattato dall’originale pubblicato su www.cittadellascienza.it]
Vi parlerò di isole che non ci sono: non sono sulle mappe, sulle carte, su Google map, nessun naufrago, nessun esploratore vi ha fatto approdo.
Tuttavia queste isole esistono. Esistono nella letteratura, nell’arte, nella filosofia.
La domanda che ci facciamo è: ha senso scrivere, e quindi parlare, di cose inesistenti?
Non solo idee e teorie, ma anche luoghi?
Questa è la domanda che ho pensato di proporre alla vostra attenzione e soprattutto alla vostra discussione: “Il mito e la letteratura non rappresentano il reale, ma sono una risposta al reale; non descrivono né misurano il mondo, ma delineano scenari diversi, spesso decisamente irreali. Possiamo dire che mito e letteratura ci aiutano a capire e conoscere noi stessi e il mondo?”.
La prima isola di cui vi voglio parlare è quella dei Feaci, descritta da Omero.
Chi sono i Feaci? Un popolo straordinario che abita un’isola ricca di ogni bene, di frutti spontaneamente offerti dalla natura. Quella dei Feaci è una comunità giusta, aperta all’accoglienza e all’ospitalità.
Le navi dei Feaci sono anch’esse particolari: solcano il mare senza timone, sono navi che seguono l’intenzione degli uomini che le comandano, portando a destinazione il loro carico, nelle nubi e nella nebbia. Questi Feaci dispongono dunque di una natura spontanea e generosa, di una comunità eticamente fondata sulla giustizia e l’ospitalità, e di una tecnologia docile che sa interpretare il volere degli uomini e vi obbedisce.
Dopo l’isola dei Feaci di Omero, la presenza delle isole nei racconti degli antichi presenterà due diversi elementi narrativi: troviamo le isole dei Beati, di cui ci parla Esiodo (VII sec. a. C.), dove i giusti vivono senza affanni ricevendo dalla natura tutto quanto c’è di più desiderabile, incluso un clima che non conosce l’alternarsi delle stagioni.
Per Plinio, nella sua Naturalis Historia (II, 96), esistono le “isole ballerine o saliarie” che si troverebbero nel Lazio e che al suono di una musica si muoverebbero secondo le battute dei piedi che segnano il tempo.
Nel suo lavoro di ricerca sulla natura, il compito di Plinio è quello di definire ciò che è unico, imprevisto e suscita la meraviglia del lettore.
La separazione dalla terraferma è il dato che determina il destino delle isole nella riflessione filosofica: Platone (427-348 a. C.) nel Crizia narra il mito di Atlantide.
L’isola è un regno delle meraviglie, di tale ricchezza che non ha paragoni, e ospita una comunità che si regge su una perfetta organizzazione. Ben presto, gli abitanti dell’isola dimenticano la loro origine divina, diventano preda di ambizioni, lotte fratricide, corruzione e l’isola viene fatta scomparire tra i flutti da Zeus, infuriato per il comportamento umano.
Platone usa il mito per praticare la filosofia come narrazione, piuttosto che come astrazione.
Qual è dunque il contenuto di verità che Platone assegna al mito di Atlantide?
La comunità crea sull’isola una perfetta realtà politica, ma viene distrutta, anzi essa stessa si condanna alla distruzione a causa del suo comportamento avido, avendo dimenticato il Bene. Rimane però negli uomini come un ricordo, una tensione ideale verso la costruzione di questo mondo di bellezza e di giustizia. Nel situare il paese ideale, la città ideale, oltre il mare, in mezzo al mare, su un’isola, c’è il declinarsi di un paradigma che esprime la consapevolezza della necessità di staccare l’utopia – l’isola – dall’attualità della storia. Il mare rappresenta infatti quella condizione del tempo che è l’eterno.
Le utopie (utopia = non luogo) del Novecento si aprono con l’isola che non c’è di Peter Pan (1902), esempio lampante di non-luogo, che si fonda sulla negazione dello scorrere del tempo, non in senso storico, ma esistenziale, perché Peter Pan non vuole diventare adulto, la cui condizione è rappresentata invece dal Capitan Uncino, suo eterno nemico.
Altra isola che la nostra navigazione deve almeno sfiorare è Island di Aldous Huxley (1962), un’opera che presenta una doppia natura, romanzo e saggio, che rovescia l’ideologia colonialista. Un naufragio porta un giornalista sull’isola di Pala, luogo sconosciuto e mai precedentemente descritto. Qui vive una popolazione dal carattere gentile e sereno che è riuscita a unire l’arte con la scienza, con uno stile di vita che si pone come alternativo a quello occidentale, destinato al fallimento e alla rovina totale.
Giunti alla fine del nostro viaggio, viene spontaneo chiedersi se l’isola abbia ancora un ruolo nel nostro immaginario: ho pensato al reality show “L’Isola dei famosi”, quello strano intreccio tra ‘vero’ e ‘falso’ determinato dalla condizione dei protagonisti, costretti come naufraghi a procacciarsi il cibo, ma allo stesso tempo con l’onnipresente ripresa televisiva che ne falsifica la condizione.
Come vedete, questo rapporto tra isole, miti e verità è ancora problematico e vitale nel nostro presente.